Il trasferimento di Società Autostrade per l’Italia S.p.A (ASPI S.p.A) da parte di Atlanta ha segnato la conclusione del lunghissimo contenzioso tra lo Stato e la società della famiglia Benetton a seguito del crollo del ponte Morandi, collassato il 14 agosto 2018, causando la morte di 43 persone. Si è così scongiurata la revoca della concessione, in scadenza al 2038, e la conseguente estromissione di fatto dei Benetton.
L’accordo transattivo, sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) e la società ASPI S.p.A., definisce la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale, intrapresa nei confronti dello stesso concessionario. L’accordo, ammesso al visto di legittimità dalla Sezione centrale di controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti, prevede l’acquisizione da parte della cordata formata da Cassa Depositi e Prestiti, Blackstone e Macquarie dell’88,06% (Cdp il 51% mentre i due fondi di investimento esteri il 24,5% ciascuno) del capitale e dei diritti di voto della concessionaria per un controvalore di 8,198 miliardi.
Tre associazioni di categoria hanno però impugnato gli atti dell’accordo transattivo, vantando «un preciso e qualificato interesse a che il servizio autostradale sia reso in modo efficiente, in condizioni di equità ed a costi equilibrati e sostenibili», nonché deducendo anche la violazione di due norme comunitarie. In primo luogo, il principio di concorrenza, il quale avrebbe imposto lo svolgimento di una procedura di aggiudicazione della concessione e non la proroga a nuove condizioni. In secondo luogo, l’art. 38 della Direttiva 2014/23/UE, il quale, a fronte di un illecito-inadempimento di tale portata, avrebbe giustificato ampiamente il venir meno del requisito di prosecuzione del concessionario nel rapporto con la concedente, mentre non avrebbe potuto consentire la prosecuzione del rapporto con lo stesso concessionario controllato da diversa compagine azionaria.
Le ricorrenti sottolineano infatti come tale illecito sia stato riconosciuto non solo dalla stessa Aspi S.p.A., ma soprattutto dall’autorità concedente e da tutti gli organi tecnici e amministrativi che si sono occupati della vicenda; rilevano, inoltre, che in capo alla medesima pende un procedimento penale per accertare le gravi responsabilità penali, ma ne è indiscutibile la responsabilità amministrativa.
Il TAR del Lazio, ritenendo prima facie le censure fondate e rilevanti in termini di eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione e di violazione grave e manifesta del diritto comunitario, ha rimesso una serie di questioni in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il Collegio nella sentenza richiama la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale e della CGUE.
Il Giudice delle Leggi, con sentenza n. 168 del 27 luglio 2020, ha espresso infatti una valutazione di carattere perentorio sul regime di favore riservato all’ASPI, prorogando la durata del rapporto concessorio al 2028 e rendendo la decadenza e la revoca della concessione assai onerosa per la parte pubblica.
In un tale contesto, che di fatto paralizza per lunghi anni iniziative volte all’apertura del mercato di riferimento, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza 18 settembre 2019 ha condannato lo Stato italiano, per avere prorogato una concessione di tratto autostradale conseguita a suo tempo senza gara, ribadendo la piena soggezione di tale segmento del mercato al principio di concorrenza.
Tale giurisprudenza sarebbe dovuta servire da monito affinché l’Amministrazione concedente procedesse scrupolosamente in fase di istruttoria procedimentale nella valutazione di una potenziale violazione del principio di concorrenza e del suo più naturale corollario, rappresentato dall’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica.
Il TAR ha ritenuto che l’Amministrazione concedente non abbia preso in sufficiente considerazione, nel procedimento di cui all’art. 43 del decreto-legge n°201/2011, i principi concorrenziali del diritto europeo, omettendo di valutare se questi ultimi, per come declinati all’art.43 della Direttiva 2014/23, consentissero la prosecuzione del rapporto con concessionario ovvero imponessero l’indizione di una procedura ad evidenza pubblica.
La violazione dell’art. 43 della Direttiva emergerebbe, secondo il Collegio, anche sotto diverso profilo.
La disposizione prevede infatti che le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione della concessione nel caso in cui la necessità di modifica è determinata da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non avrebbe potuto prevedere.
«Risulta, infatti, evidente» – afferma il Collegio – «che una condotta inadempiente suscettibile di incidere sulla sicurezza stradale o, addirittura, di determinare, in misura esclusiva o concorrente, la verificazione di un evento tragico come quello occorso agli utenti della strada che in data 14.8.2018 transitavano sul ponte Morandi, non potesse affatto considerarsi alla stregua di una circostanza imprevedibile; diversamente opinando, non sarebbe stato posto, quale obbligo del concessionario, il “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse” ». L’Amministrazione procedente non ha, dunque, nemmeno esperito quest’ultima valutazione: pare quindi che la modifica del contenuto convenzionale sia stata disposta come se la verificazione di un evento dannoso causato da incuria manutentiva costituisse una circostanza imprevedibile.
Un diverso e ultimo punto di attrito con il diritto europeo rilevato dal Tar concerne il mancato approfondimento da parte dell’amministrazione concedente della questione inerente alla persistente affidabilità di Autostrade per l’Italia S.p.A. Anche in questo caso il Collegio si riporta all’apprezzamento contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale sopra citata: « è essenziale rammentare che il crollo del Ponte Morandi, causando ben 43 vittime, ha segnato profondamente la coscienza civile nella comunità, e ha aperto una ferita nel rapporto di fiducia che non può mancare tra i consociati e lo stesso apparato pubblico, cui è affidata la cura di beni primari tra i quali, in primo luogo, la salute e l’incolumità ».
E’ quindi singolare che la società ASPI sia stata ritenuta inaffidabile per la ricostruzione del Ponte Morandi e, all’opposto, affidabile per la prosecuzione della gestione dell’intera infrastruttura in concessione.
Si attende dunque la pronuncia della CGUE la quale, se rilevasse l’incompatibilità dell’interpretazione normativa nazionale con gli articoli 38 e 43 della Direttiva, dovrà anche pronunciarsi sull’applicabilità nel caso di specie dell’articolo 44 della medesima Direttiva, che prevede l’obbligo per gli Stati membri di assicurare che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori abbiano la possibilità di porre termine alla concessione, nel caso in cui quest’ultima abbia subito una modifica tale da richiedere una nuova procedura di aggiudicazione della concessione.
Dott.ssa Giorgia Lucchi