Con recente ed interessante pronuncia, il Consiglio di Stato (Sez. V, 6 dicembre 2021 n. 8148) ripercorre ancora una volta lo stato dell’arte sui principi da applicarsi in caso di accoglimento della domanda di annullamento della aggiudicazione e di risarcimento danni.
Ci sembra utile riportarne in questa sede i contenuti principali.
- La responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la responsabilità, negli appalti pubblici, è improntata – secondo le previsioni contenute nelle direttive europee – a un modello di tipo oggettivo, disancorato dall’elemento soggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio (Consiglio di Stato sez. V, 1° febbraio 2021, n. 912).
- In caso di illegittima aggiudicazione di un appalto e suo conseguente annullamento, il concorrente può ottenere, a titolo di risarcimento in forma specifica, il subentro nel contratto anche quando la sentenza non possa essere integralmente eseguita per essere stata data parziale esecuzione al contratto dall’illegittimo beneficiario; in tal caso l’obbligazione dell’Amministrazione non si estingue, ma si converte in una diversa, di natura risarcitoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dalla sentenza, in parziale sostituzione dell’esecuzione in forma specifica (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 26 maggio 2020, n. 3342).
- Per ciò che concerne la quantificazione del danno, la somma da liquidarsi deve essere determinata in una percentuale del mancato utile conseguito dalla ricorrente. E’ noto infatti che, in sede di determinazione del quantum risarcitorio, esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, è necessaria la prova, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, prova desumibile in primis dall’esibizione dell’offerta economica presentata; tale principio trova, infatti, conferma nell’art. 124 del codice del processo amministrativo che, nel rito degli appalti, prevede il risarcimento del danno subito e provato.Per la determinazione del quantum risarcitorio, la stazione appaltante deve:
– attenersi all’offerta economica presentata in sede di gara dal concorrente pretermesso;
– determinare il margine di guadagno che residua dopo l’applicazione del ribasso indicato in sede di gara;
– il mancato profitto, corrispondente all’utile che l’impresa avrebbe conseguito, deve essere calcolato tenendo conto del corrispettivo che sarebbe stato pagato dalla stazione appaltante in ragione del ribasso offerto;
– tale somma deve essere decurtata di tutte le spese necessarie per l’esecuzione del contratto; nel caso in cui l’ammontare delle spese non sia ricavabile dall’offerta presentata in gara, l’amministrazione potrà valutare l’opportunità di acquisire i necessari dati, informazioni e chiarimenti;
– la somma così definita deve essere decurtata dell’eventuale aliunde perceptum conseguito dall’impresa nell’esecuzione di altri lavori durante il tempo di svolgimento del contratto di cui è causa; a tal fine l’impresa è tenuta a fornire alla stazione appaltante i dati relativi ai lavori assunti nel periodo di durata del contratto non eseguito;
– la somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria e gli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale. - Quanto al cosiddetto danno curriculare, esso spetta solamente qualora venga dimostrato, ed in apice dedotto, che la mancata aggiudicazione ed esecuzione dei lavori oggetto del giudizio ha precluso all’impresa pretermessa di acquisire ulteriori commesse pubbliche e quali ne sono le negative ricadute, in termini di minore redditività, sulla propria immagine commerciale (sulla necessità di dare una prova specifica del danno curriculare si è ormai attestata la giurisprudenza, di cui si richiamano, tra le tante, le seguenti recenti pronunce: Consiglio di Stato sez. V, 26 luglio 2019, n. 5283, Consiglio di Stato, Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14, Consiglio di Stato, 26 aprile 2018, n. 2527).
- Non possono invece di norma entrare a far parte delle componenti della somma da risarcire le spese sostenute per la partecipazione alla procedura concorsuale.
Infatti, il danno emergente, consistente nelle spese sostenute per la partecipazione ad una gara d’appalto, non è risarcibile, in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto. È pacifico che la partecipazione alle gare pubbliche di appalto comporta per le imprese costi che, di norma, restano a carico delle imprese medesime sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione.
In ogni caso, qualora l’impresa ottenga il risarcimento del lucro cessante per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2013, n. 1999).